Tarantina, Medico Chirurgo specialista in Ginecologia e Ostetricia, Medico Agopuntore esperto in Medicina Tradizionale Cinese, mamma di Federico e Sofia.

Dobbiamo portare avanti la rivoluzione gentile per le nostre figlie.

Quale è stato il momento in cui ha pensato di essere coraggiosa?

“Mi sento coraggiosa ogni giorno, quando persevero nel cammino che ho scelto di percorrere. Un lavoro difficile e di responsabilità, ma di cui non posso fare a meno. Perché non c’è altro al mondo che, come il mio lavoro, mi faccia sentire viva e parte del mondo che mi circonda.
Stranamente, nei momenti più importanti, come durante un parto difficile, non ho mai dubbi o stanchezza, dimentico di esistere.
Nella vita siamo concentrati su noi stessi e sul nostro sentirci speciali ma sappiamo che siamo solo una cellula dell’enorme organismo vita nel flusso della storia. Tolstoj ci paragonava a bollicine che scoppiano in un determinato momento della storia universale. Eppure continuiamo a concentrarci sulla nostra unicità.
Solo durante il parto riesco a liberarmi di questo pensiero vincolante e condizionante, dimentico chi sono e divento strumento, mi perdo nel flusso dell’evento nascita e semplicemente riesco a sentire quello che devo fare in coscienza. È veramente uno stato liberatorio.
Sentire di cosa ha bisogno la donna, che sia un intervento chirurgico o semplicemente una parola gentile: questa è la parte più importante del mio lavoro, in cui non ho bisogno di sentirmi coraggiosa, ma semplicemente di esserlo”.

Se dovesse scrivere il primo capitolo di un libro sulla sua carriera, come inizierebbe?

“Questo lavoro per me è stato un corso di filosofia, un destino scelto per caso.
Mi ha insegnato tantissimo sull’essere umano e ad ogni parto scopro qualcosa di nuovo su me stessa.
Il primo capitolo della mia carriera si è aperto con un atto d’amore per me stessa: ho scelto di ritornare in Puglia e dare la priorità alla mia famiglia, a un ritmo di vita mediterraneo, al sole e al mare, ad un bisogno che senti nel tuo sangue e viene soddisfatto solo se sfiori il suolo dove sei nato. Quando sono tornata a Taranto dopo l’università, pur non conoscendo nessuno, ho avuto l’entusiasmo e la capacità di mettermi in gioco e di non farmi intimidire da chi non mi conosceva e non mi poteva apprezzare.
Quando non ti importa se fallisci e credi nelle tue capacità, il fallimento diventa crescita perché impari a rialzarti.
Questa freschezza dopo qualche anno la perdi, per cui direi che il cerchio si è chiuso quando nel corso degli anni ho capito come ritrovarla.
Si passano dei momenti in cui ci si crea un percorso e si fa fatica a lasciare la strada tracciata in precedenza, si crede di non voler andare ancora oltre per non perdere le comodità acquisite.
A distanza di 10 anni dal mio ritorno a Taranto ho capito che quando smetti di metterti in gioco smetti di vivere, perché smetti di sognare, smetti di desiderare, di credere di poter creare qualcos’altro di ancora più bello.
Per cui il mio primo capitolo si è chiuso quest’anno, in cui ho raggiunto ciò che rincorrevo da un po’ di tempo, rendendomi conto che si può sempre fare meglio e che non voglio smettere mai di desiderare di crescere ancora”.

Che cosa significa umanizzare l’esperienza del parto e quanto la musica può essere uno strumento di aiuto?

“Ho scelto ostetricia perché Il parto è in assoluto l’evento più sconvolgente a cui ho assistito da studentessa di medicina ed è uno dei momenti più importanti della vita di un individuo.
Che tu possa vivere felice tutta la vita con la tua famiglia o separarti dal tuo compagno e dal padre dei tuoi figli, il parto indubbiamente è un qualcosa che ti trasmuta, ti lega per la vita ad altre persone e non si può pensare di equiparare un evento del genere a una qualsiasi procedura medica o medicalizzare un evento di tale forza.
Il parto è un evento di nascita e come tale lo scopo di noi operatori sanitari deve essere semplicemente quello di garantirne la sicurezza e dare alla donna gli strumenti esterni e interiori che ancora non ha padroneggiato per diventare genitrice.
Tutti gli strumenti che facilitano la gravidanza, la coesione della coppia e il parto, che siano musica, massaggio, aromaterapia, parto indolore, qualsiasi cosa che aiuti la donna ad essere se stessa e rinascere in quest’esperienza devono essere elementi essenziali a cui noi dobbiamo ambire durante l’evento parto.
Sono convinta che l’ostetricia si faccia con il cuore.
La testa e la scienza ti aiutano, ma il cuore ti dà la direzione e nel momento in cui usi il cuore la parola umanizzazione diventa desueta. Che cosa significa umanizzare? Si può umanizzare la scuola? No. Le scuole sono fatte da bambini, per cui non può essere che umana. E il parto è fatto da famiglie, da una donna e da un neonato per cui non può essere null’altro che un’esperienza umana”.

Quale consiglio darebbe a chi vuole seguire la sua strada?

“Ogni lavoro, se lo senti dentro, può essere una missione e avere tante difficoltà.
La medicina è uno specchio inquietante in cui guardare ogni giorno: vi trovi morte, malattia, nascita, la vita di migliaia di persone nei momenti più cruciali che si confonde con la tua Ti accompagna quando timbri il cartellino, quando fai la doccia, quando metti a letto i tuoi figli. La sofferenza e la felicità degli altri non può lasciare indifferenti. Fate i medici se vi innamorate della perfezione del corpo e della mente. Fate i medici con umiltà sapendo che, per quanto imparerete, l’universo della medicina è in continua evoluzione e bisogna correre per non rimanere indietro. Fate i medici solo se siete disposti ad avere ancora pazienza e compassione quando pensate di averla esaurita. Quando siete disposti ad avere empatia con persone agli antipodi dal vostro modo di essere. Siate gentili e sorridete. Perché sempre da qui inizia il processo di guarigione. Anche il vostro.
Quando il medico sarà non ciò che volete fare ma chi volete essere allora per voi non sarà un lavoro, ma quello che siete destinati a diventare e tutto il resto verrà facile. Perché non si smette mai di essere medici, neanche quando si va in pensione.
E se siete donne ogni sera dite grazie a voi stesse. Perché facciamo il doppio della fatica degli uomini in tutto per avere la metà del riconoscimento. Perché l’empatia delle donne e la compassione di cui sono dotate biologicamente nel mondo di oggi non è sostituibile ed è nostro dovere dare un contributo. Ringraziate le vostre mamme, perché il contributo che le donne medico oggi danno è la risultante dello spazio nel mondo che le nostre madri ci hanno insegnato a ritagliarci. Ed è la rivoluzione gentile che dobbiamo portare avanti per le nostre figlie”.