“Le Coppe si vincono in allenamento,si va in gara solo per ritirarle”

Per 228 volte ha indossato la maglia azzurra della Nazionale. È stata la capitana di uno straordinario Team che ha vinto e portato in alto il valore del volley azzurro in tutto il mondo. Ha sempre pensato che lo sport è un meraviglioso simulatore di lusso della vita reale per cui oggi è consapevole che la grande eredità che la pallavolo le ha lasciato non sono state le coppe o le medaglie vinte ma il grande senso di responsabilità, coraggio, inclusione e fiducia nel proprio team. Dal 2013 si occupa di consulenza manageriale nell’ambito delle risorse umane. Sviluppa il valore delle soft skills,della comunicazione, motivazione, leadership, inclusione, gestione dei team e senso di appartenenza. È autrice del libro “Senza Rete “ di Roi Edizioni dedicato ai suoi due bambini Carlos e Ines. Crede che investire nel sociale sia una sorta di grande responsabilità per cui da 10 anni è Testimonial per Loto Onlus e Fondazione Angelini.

Precisione, grinta, coraggio e determinazione. Una capitana lo è sempre, così Maurizia Cacciatori si presenta al nostro appuntamento telefonico con l’umiltà delle grandi e la carica di chi è abituata a vincere, o almeno a provarci.

Se dovesse scrivere il primo capitolo di un libro sulla sua carriera, come inizierebbe?

«L’immagine iniziale sarebbe una valigia, un treno e una stazione. La mia vita è sempre stata con una valigia in mano, io seduta in attesa che un treno arrivasse per partire. Non sono mai stata ferma, sono sempre in movimento, anche a livello mentale: sogno tanto, sono costruttiva e ottimista e questo mi porta a scenari mai statici, è la mia grande forza, nonostante da mamma sia naturale fermarsi un po’ ma i miei figli di 9 e 10 anni sono persone che viaggiano, per il loro futuro spero possano essere sempre liberi e la libertà arriva dalla conoscenza».

Lo sport è una parte fondamentale della sua vita, cosa ha significato reinventarsi e quanta forza ha tratto dalla sua carriera da ex pallavolista?

«Ero la capitana della Nazionale, è stata una bella carriera e quando ho smesso di giocare lo sport mi ha lasciato diversi strumenti: saper collaborare, mettersi in gioco, lavorare in team, avere coraggio, costruire qualcosa. Nella vita nulla è scontato, questo lo insegna lo sport».

Lei oggi è anche consulente aziendale: lo sport può essere una buona scuola per aiutare i processi aziendali?

«Sì, in fondo anche le realtà aziendali sono sportive. L’azienda è un team, anche se non si partecipa alle Olimpiadi ci sono focus e obiettivi. Da quando faccio questo lavoro ho visitato tanti “spogliatoi aziendali”, dove ritrovo diverse realtà vissute: spogliatoi silenziosi che hanno perso entusiasmo da motivare e quelli che lavorano bene con la leadership. Non mi sento una coach aziendale, porto solo la mia esperienza. L’importante è che ognuno trovi la giusta motivazione per essere un atleta di alto livello, non entrerei mai in un’azienda lavorando al 20%, mi sentirei “sporca”, in campo devi giocare al 100% a prescindere delle vittorie».

Quale è stato il momento in cui ha pensato di essere coraggiosa?

«Ci sono diversi momenti: in campo quando passavo una palla “impopolare” che nessuno si aspettava ma sapevo che era quella giusta, prendendomi la mia responsabilità; in Giappone in conferenza spiegando una vittoria avendo tanti occhi puntati; in generale per il coraggio di esserci e di scegliere. Lo sport aiuta ad allenare il coraggio, da ragazzina credevo che un bivio fosse una punizione, ad esempio scegliere dove giocare, adesso so che più ci sono bivi e più si è vivi».

Quale consiglio darebbe a chi vuole seguire la sua strada?

«Sono sempre stata in team al femminile, sono una grande estimatrice delle donne e so quanto sia difficile ancora oggi. Consiglierei di non cercare la perfezione, si perde tempo, cerchiamo di essere ottimi esempi e protagoniste dei nostri giorni. La perfezione spesso è sinonimo di antipatia, proviamo ad essere quello che siamo».