Lucia Tilde Ingrosso nasce a Milano, cresce a Cortona, ha origini salentine. Maturità classica, laurea in Economia aziendale. Fin da bambina, sogna di fare la scrittrice. Giornalista professionista, ha pubblicato, con le principali case editrici, 23 libri: gialli, noir, rosa, humour, manuali. Fra gli altri: il thriller “Una sconosciuta” e il giallo “I fantasmi non muoiono mai”. Si rivolge anche ai ragazzi (“Il sogno di Anna” è il romanzo young adult più recente); per loro tiene corsi di scrittura. Spesso scrive con il marito, l’autore tarantino Giuliano Pavone. Crede nel give back, nel networking al femminile e nella forza delle parole.

“Mettere le donne al centro della narrazione fa la differenza”

Se dovesse scrivere il primo capitolo di un libro sulla sua carriera, come inizierebbe?

«Volevo fare la scrittrice, ma sapevo che era difficile. Così mi iscrissi in Bocconi, economia aziendale. Lì, si diceva, ti mandavano le offerte di lavoro ancora prima di finire. Poi arrivò Mani Pulite, una crisi nera. Una mattina di pioggia, andai in edicola a prendere il giornale per mia nonna. Trovai il mensile di business Millionaire, che titolava: “Tre mesi gratis nel mondo”. Cercavano dieci persone da mandare all’estero. Inviai la mia candidatura, fui spedita in Ungheria. E da lì tutto è cominciato…»

Da giornalista e autrice, spesso racconta storie con protagoniste femminili. Una nuova narrazione può cambiare la visione del mondo?

«Sì, senza ombra di dubbio. Faccio mia la celeberrima massima del Mahatma Gandhi “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. In editoria, scontiamo un paradosso: le donne sono il 60% dei lettori, ma poi a essere pubblicati (recensiti, premiati, valorizzati) sono soprattutto gli uomini. In tutti i settori, noi donne dobbiamo ispirarci alla capacità di fare gruppo degli uomini. Con alcune colleghe (Barbara Perna, Daniela Grandi, Valeria Corciolani…) abbiamo fondato un gruppo di scrittrici. Insieme siamo più forti. Anche mettere le donne al centro della narrazione fa la differenza. Quando ho scoperto la collana Femminile Singolare di Morellini editore, romanzi ispirati a grandi donne, ci ho tenuto a scriverne uno basato sulla vita di Anna Politkovskaja».

“Donne e guerra”, tema di forte attualità e centrale nel suo ultimo libro. Crede che le donne occupino un posto diverso dagli uomini?

«Le donne restano donne anche in guerra: madri, mogli, figlie, sorelle… E quindi, anche durante le emergenze più tragiche, tendono meno a perdere la loro umanità. Gli uomini – i soldati ma anche, per esempio, gli inviati sul campo – si trasformano in macchine da guerra. In questo mi è stata maestra proprio Anna Politkovskaja, che scrisse: “A differenza di certi giornalisti maschi, io non amo l’adrenalina. Non gioco mai alla guerra. Io la guerra la odio. È orrenda”. La mia idea è che se fossero le donne a governare i Paesi si farebbero maggiormente guidare dal buon senso. Di certo, è arrivato il momento di metterle/metterci alla prova. Mi sembra che i governanti maschi non ci abbiano portati lontano».

Quale è stato il momento in cui ha pensato di essere coraggiosa?

«Avevo 19 anni ed ero tornata a casa da sola, a Milano, era sera. Appena entrata, scoprii che erano entrati i ladri. Potevano essere ancora lì, ma io salii lo stesso al piano superiore per controllare. Mi sentii molto coraggiosa, ma forse ero stata solo incosciente. La mia vita è stata costellata di piccoli gesti di coraggio. Forse l’unico davvero grande è stato quello di avere un figlio».

Quale consiglio darebbe a chi vuole seguire la sua strada?

«Di scrivere per amore della scrittura, per divulgare idee, per raccontare storie. Ambizione, vanità, desiderio di guadagno certo non mancano alla tavola di uno scrittore, ma i piatti forti sono altri. Oggi la Rete e i social permettono di farsi conoscere in fretta, ma il rischio è quello di bruciarsi. Prima di esordire, consiglio di leggere tanto, trovarsi un mentore, mettersi in discussione. Leggere, rileggere e correggere».