Nata a Catania, laureata in Cooperazione Internazionale per lo sviluppo e in Comunicazione, ha maturato diverse esperienze in ambito comunicazione non profit e project management. Nel 2014 ha fondato Orange Fiber – l’azienda italiana che ha brevettato e produce tessuti sostenibili dai sottoprodotti dell’industria di trasformazione agrumicola – della quale oggi è Presidente del CdA e responsabile del project management, della comunicazione e del fundraising.
Orange Fiber è la PMI innovativa italiana che ha brevettato e produce tessuti sostenibili per la moda a partire dai sottoprodotti dell’industria di trasformazione agrumicola. Tutta la bellezza della natura mediterranea, la creatività siciliana e l’eccellenza del Made in Italy, racchiusa in un materiale unico pensato per rispondere alle esigenze di innovazione e sostenibilità dell’industria della moda e contribuire a preservare le preziose risorse del nostro Pianeta.
Enrica, se dovesse scrivere il primo capitolo di un libro sulla sua carriera, come inizierebbe?
«Sono nata a Catania nel 1985, alla fine del liceo ho sentito il desiderio di viaggiare e ho inseguito le mie passioni. Sentendomi brava nelle lingue e nella comunicazione ho studiato interpretariato a Milano. Nella scelta universitaria ho vissuto il dilemma tra lingue e comunicazione o scienze politiche con attività legate allo sviluppo e alla cooperazione internazionale. Mi interessavano particolarmente i temi dei migranti, dei rifugiati e la giustizia ambientale, da piccola ero abbonata al Wwf e al manuale delle Giovani marmotte! Ho sempre avuto una passione per animali e natura ma a 18 anni non ero in grado di sintetizzarlo in una scelta di carriera. Dopo aver scelto lingue mi sono spostata in Francia e i temi della cooperazione e dello sviluppo sono stati più centrali nel mio percorso formativo. In Italia ho scritto una tesi sul rapporto tra Ong e Nazioni Unite. Per restare vicina ai due interessi ho continuato con master e laurea magistrale in cooperazione internazionale. Mi sono quindi avvicinata al mondo della comunicazione di temi sociali».
Quanto è stato importante viaggiare per capire che la sua strada è legata al Mediterraneo?
«Sono sempre con la valigia in mano: Italia, Francia, Egitto e non solo. In quest’anno di pandemia ho scoperto che si può viaggiare anche restando nella propria Regione. Il viaggio è uno stato mentale, non solo di moto. La Sicilia è un posto da cui sono passate tante culture e popolazioni sovrapponendosi, le differenze sono visibili tra le città, c’è il paradosso dei siciliani che vogliono andare via e dei popoli che vedono la Sicilia come la terra promessa. L’isola è troppo al sud a volte per essere Italia e troppo al nord per essere Africa.
Ho sentito la responsabilità di un posto che deve diventare più accogliente».
Come è nato l’incontro con “Orange Fiber”, tessuti sostenibili agli agrumi?
«Inizialmente pensavo solo di aiutare la mia amica a raccontare meglio la sua idea di impresa. Non avrei creduto di lavorare nella moda e non credevo fosse un settore così impattante nella vita delle persone, nella produzione, nelle scelte individuali e nell’influenzare altri a essere virtuosi. Dal rivedere le slide di presentazione dell’azienda sono arrivata a gestire l’impresa e il team. Mi piace imparare sempre qualcosa di nuovo e da chi sa fare meglio di me, amo circondarmi di persone con competenze diverse. Ciò ha permesso a me e all’azienda di emergere e attirare l’attenzione del pubblico. La contaminazione degli elementi raccolti nel mio percorso mi ha permesso uno sviluppo professionale che ho ritrovato in questo campo».
La scienza può essere creativa?
«Nel nostro caso è una scienza creativa e donna: dalla professoressa del laboratorio di chimica del Politecnico alla ricercatrice che ci ha affiancato. Il mondo della scienza e della produzione è aperto a reinventare processi produttivi sulla logica della sostenibilità e dell’innovazione».
In un suo intervento ha dichiarato di voler fare la differenza per un mondo migliore: è possibile attraverso la moda e la sostenibilità?
«È possibile farlo attraverso l’educazione, la possibilità di trasmettere una conoscenza semplice che ci permette ogni giorno di fare scelte migliori. Nessun materiale è perfetto ma ognuno ha a cuore una tematica etica e sostenibile, bisogna comprendere le nostre scelte per cambiare paradigma, essere non consumatori ma investitori. Quando compriamo una cosa influenziamo la filiera produttiva. Mi piace trasmettere che ognuno può fare la differenza con le sue scelte. Per essere sostenibili bisogna comprare meglio e meno».
Quale è stato il momento in cui ha pensato di essere coraggiosa?
«All’inizio penso di aver avuto coraggio ma anche incoscienza. Non provenivo da una famiglia di imprenditori o da una scuola di matrice economica e non avevo grandi strumenti per valutare gli elementi dei rischi d’impresa. Trovo che poi il coraggio sia anche darsi la possibilità di mollare, prendere scelte, lasciar andare se una cosa non ci fa più crescere o diventa irrealizzabile, altrimenti le energie impiegate potrebbero andare avanti per anni e avere un ulteriore impatto sulla propria vita. Nel 2019 abbiamo lanciato una campagna di crowdfunding, quando ho convinto gli altri soci a intraprendere questa strada mi sono sentita in pace con me stessa. Se non avesse funzionato avremmo potuto anche chiudere. Le cose possono andare male e non posso farmi paralizzare dal timore o agire solo per evitare che ciò accada».
Quale sarà il futuro di “Orange Fiber”?
«In azienda oggi lavorano circa sei persone, più altri collaboratori che ruotano intorno. Vogliamo cercare partner internazionali per aumentare la produzione e l’impatto e divenire anche piattaforma di aggregazione per innovatori».
Cosa le ha insegnato l’arancia?
«Nel mio iPhone ci sono tantissime foto di agrumi. Ho capito che c’è chi può volere il succo e chi la buccia e bisogna parlare più chiaramente possibile, chiedere aiuto quando c’è bisogno, guardare con attenzione ciò che ci circonda perché potrebbe esserci un valore che sta a noi creare. Creare valore dove non c’è significa far lavorare persone, riscattare un territorio in modo nuovo, dare energia. Ho imparato che anche gli alberi di strada fanno le arance, che acquistarle in alcune città è caro e che in un mondo parallelo se ne possono fare tessuti».
Quale consiglio darebbe a chi vuole seguire la sua strada?
«Oggi c’è la possibilità di farlo con più consapevolezza, facendosi accompagnare da acceleratori, associazioni, gruppi con focus su imprenditoria femminile. Suggerirei anche a chi cerca lavoro di guardare il mondo delle startup con meno scetticismo, si può imparare tanto in poco tempo, circolano tante idee, energie, spunti. Il futuro è di chi lo crea».
a cura di Alessandra Macchitella