Il fattore “diversity”, come già evidenziato dall’edizione 2019 del Confidence Index, aiuta il miglioramento dei risultati aziendali di Gianni Rusconi
Oltre 54mila fra Chief executive officer e Chief marketing officer di 36 Paesi interpellati su oltre 20 tematiche di natura economica, politica e organizzativa fra quelle maggiormente dibattute in questi mesi per capire come è cambiato e sta cambiando l’umore dentro le aziende. È dunque un campione particolarmente rilevante e rappresentativo quello utilizzato da Worldcom (il principale network al mondo di agenzie di pubbliche relazioni indipendenti) per stilare il suo annuale Confidence Index, rapporto che va ad evidenziare le principali preoccupazioni, il livello di consapevolezza e il sentimento di fiducia percepito dal top management nell’affrontare lo scenario attuale rispetto ad ambiti strategici come il lavoro e la leadership.
Una curiosità legata allo studio, innanzitutto: per analizzare l’enorme mole di dati raccolti online ed estrarre gli indicatori, come ha spiegato Diego Biasi, founder e Ceo dell’agenzia italiana BPress, è stato utilizzato un metodo, coperto da brevetto e di proprietà della società di ricerche canadese Advanced Symbolics, basato su algoritmi di intelligenza artificiale e machine learning. Veniamo ora ai principali indicatori emersi.
La maggiore variazione rispetto al rapporto del 2019 è tinta di rosa: l’aumento dell’indice di fiducia delle donne leader, nell’ordine del 7%, si contrappone infatti al calo della fiducia dei leader uomini (di pari percentuale). E il fatto che l’indagine sia stata condotta durante una pandemia induce a credere che le figure apicali al femminile si dimostrino più sicure nel gestire una crisi rispetto ai colleghi maschi.
Gli impatti in chiave business provocati dal Covid-19 sembrano inoltre aver innescato due “nuove” tendenze, che rivestiranno un ruolo centrale anche nel 2021: la fiducia nella capacità di migliorarsi e riqualificarsi ha scalato 15 posizioni per assestarsi al primo posto assoluto della classifica tematica, mentre la fiducia nell’uso della tecnologia per collaborare e innovare sale di 16 scalini per arrivare al secondo posto.
Due novità importanti in uno scenario che, complessivamente, vede la fiducia dei leader in diminuzione (dell’8%) e che registra solo altre due variazioni positive, oltre a quelle sopra citate, e cioè l’incidenza e il ruolo dei media (che passa dall’ultimo al decimo posto, con i manager francesi a spiccare come i più fiduciosi su questa tema) e l’immagine aziendale e la brand reputation.
Un’ulteriore indicazione che emerge dal rapporto riguarda inoltre i cambiamenti nel livello di fiducia dei Ceo e dei Cmo intervistati in rapporto al genere: il fattore “diversity”, come già evidenziato dall’edizione 2019 del Confidence Index, aiuta i risultati aziendali e le aziende che hanno scelto di rafforzare i rispettivi team di leadership in questa direzione sono sicuramente favorite per ottenere ottimi risultati anche nei prossimi dodici mesi.
Apre invece un fronte di preoccupazione il fatto che la fiducia legata a quattro temi chiave collegati ai dipendenti – e nello specifico il trattenere e l’attrarre i talenti, i benefit e l’incremento della produttività attraverso il coinvolgimento dei dipendenti – sia di fatto crollata, a testimonianza della grande discontinuità che la pandemia ha esercitato sui modelli e sui flussi di lavoro di molte organizzazioni.
Scorrendo il rapporto, balza quindi immediatamente all’occhio come i top manager statunitensi si presentino come i più fiduciosi in assoluto su scala globale benché questa maggiore predisposizione non abbia trovato riscontro in alcuni dei temi considerati dall’indagine, a cominciare dal trattamento della privacy e dalla protezione dei dati personali, il cui indice è sceso del 23% anno su anno.
E l’Italia? Le risposte dei Ceo e dei Cmo delle aziende tricolori elevano il nostro Paese in una posizione di rilievo (rispettivamente al sesto e quarto posto) per ciò che concerne l’indice di fiducia sulle capacità di migliorarsi e riqualificarsi e l’utilizzo della tecnologia per collaborare ed innovare.
Tre altri indicatori, invece, sembrano confermare le difficoltà del management italiano a rispondere alle sollecitazioni connesse allo stato di emergenza e di crisi. Si tratta nello specifico della soddisfazione del cliente (tema che vede scivolare l’Italia al secondo posto alle spalle del Giappone e davanti alla Cina), della capacità di attrarre i talenti (che scala dal secondo al quarto posto) e della fiducia nella reputazione del marchio (dove il Belpaese perde il primato esibito nel 2019 per scendere fino alla quinta posizione dopo Belgio, Irlanda, India e Regno Unito).
Fra i dati peggiori in assoluto c’è infine quello legato all’aumento della produttività aziendale con il coinvolgimento dei dipendenti: l’indice di fiducia dei Ceo italiani per questa voce crolla del 25,9% e spinge la Penisola al 30esmo posto (su 36) di una classifica che vede primeggiare, sicuramente non a caso, la Cina.
Fonte Il Sole 24 ore